Newsletter 2/2023

1) MODELLO SEMPLIFICATO “231” PER MICRO E PICCOLE IMPRESE

Il 12 gennaio 2023 UNI, Ente Italiano di Normazione, ha pubblicato la Prassi di riferimento 138:2023 «Modello semplificato di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. 231/2001 per la prevenzione dei reati contro la Pubblica Amministrazione e dei reati societari nelle micro e piccole imprese» («UNI/PdR 138:2023»). La UNI/PdR 138:2023 rientra fra i «prodotti della normazione europea» (Regolamento UE n.1025/2012) ed introduce importanti prescrizioni tecniche utili a guidare l’operato delle piccole imprese.

I destinatari della UNI/PdR 138:2023 sono le imprese di piccole dimensioni (micro e piccole).

Per «micro impresa», si intende quella che occupa meno di 10 dipendenti, con un fatturato minore di 2 milioni di Euro ed un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

Per «piccola impresa» deve intendersi quella che occupa un numero inferiore ai 50 dipendenti, con un fatturato minore di 10 milioni di Euro e con un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

La UNI/PdR 138:2023 risponde all’esigenza di contribuire alla costruzione ed all’attuazione di un MOG semplificato per le imprese di minori dimensione. A tale scopo, la UNI/PdR 138:2023 individua tutta una serie di modalità organizzative, gestionali e di controllo per l’adempimento degli obblighi richiesti dagli artt. 6 e 7 del D. Lgs. 231/2001.

Pertanto, le micro e piccole imprese potranno adottare volontariamente un Modello Organizzativo secondo la presente Prassi di Riferimento, adeguando i contenuti della stessa alla loro specifica articolazione aziendale, alle esigenze organizzativo-produttive e alla particolare organizzazione del lavoro.

La scelta di dotarsi di un Modello Organizzativo comporta notevoli vantaggi per le piccole e micro imprese, quali:

  • realizzazione di una più robusta e funzionale strutturazione organizzativa e gestionale;
  • esenzione da responsabilità amministrativa nel caso di efficace adozione ed attuazione del Modello Organizzativo;
  • attribuzione del Rating di legalità da parte dell’AGCM, con conseguenze favorevoli nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con gli Istituti di Credito.

2) Riforma appalti, l’illecito da 231 contestato potrà far scattare l’esclusione dalle gare

Il decreto legislativo che riforma il codice dei contratti pubblici, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, prevede che una contestazione relativa a un illecito 231 potrà essere sufficiente a far scattare la sanzione dell’esclusione da una gara d’appalto

Per ciò che concerne la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi  dipendenti da reato la novità è costituita dall’inserimento della “contestata o accertata commissione” dei reati previsti dal D. Lg. 231/2001 tra gli illeciti professionali che potrebbero determinare l’esclusione da un appalto (articolo 9, comma 4, lettera h, numero 5 della bozza del D. Lgs.

Quindi, nell’ambito della responsabilità degli enti derivante da reato, l’illecito professionale «si può desumere al verificarsi» della mera contestazione di uno dei reati previsti dal Dlgs 231/2001.

L’esclusione non opererà in via automatica (articolo 95, comma 1) perché la valutazione è rimessa alla stazione appaltante e scatterà se gli illeciti sono gravi e tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’offerente.

L’articolo 98, comma 7, del Dlgs di riforma del Codice appalti, indica, però, tra i mezzi di prova adeguati per dimostrare l’illecito «oltre alla sentenza di condanna definitiva, al decreto penale di condanna irrevocabile, alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta, anche atti di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, come ad esempio il decreto di citazione a giudizio o la richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

Atti, questi ultimi, che sono però frutto della determinazione unilaterale del pubblico ministero. In attesa della decisione giurisdizionale che, a volte, arriva anche a distanza di anni, l’operatore economico (ossia l’azienda) rischia quindi di essere escluso dalle gare d’appalto.

Più soggetti «contestabili»

La riforma amplia inoltre la platea dei soggetti la cui condotta è rilevante per far scattare l’esclusione.

La «contestata o accertata commissione» dei reati previsti dal Dlgs 231, riguarda, infatti non solo l’operatore economico ma anche i soggetti che operano per suo conto e cioé quelli indicati dall’articolo 94, comma 3 del Dlgs di riforma del Codice appalti, che comprende anche il direttore tecnico, i membri del consiglio di amministrazione, i componenti degli organi con poteri di vigilanza, il socio unico e persino l’amministratore di fatto.

Il modello organizzativo

Se il testo attuale sarà confermato, gli enti – tenuto conto della vastità di situazioni  valutabili come illecito professionale -, dovranno cominciare a pensare al modello conforme al D. Lg. 231/2001 quale insieme di provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (art. 96 c. 6). Infatti la stazione appaltante, nell’ambito dell’ampia discrezionalità riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa, potrebbe considerare idonea ad evitare l’esclusione, fatta eccezione per i casi più gravi per i quali non ci sono margini di discrezionalità (art. 94, comma 5, e 95, comma 2).

3) Cassazione: la responsabilità dell’amministratore non si riflette automaticamente sull’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001

Con la sentenza n. 570 del 11.1.2023 la Corte di  Cassazione penale afferma che la responsabilità degli amministratori in materia antinfortunistica non integra automaticamente la responsabilità dell’ente, che presuppone anche la sussistenza della c.d. colpa di organizzazione, ravvisabile in ipotesi di mancata attuazione delle cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

Il fatto affrontato

A seguito dell’infortunio mortale occorso ad un dipendente viene imputata alla società la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. 231/2001.
In particolare, la Corte d’Appello ritiene l’ente responsabile dell’illecito amministrativo per aver tratto – dalla condotta del reato (di omicidio colposo dovuto all’inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro) attribuito al suo amministratore unico – un vantaggio consistito nel risparmio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti di altra società e non dotati di adeguati strumenti di protezione individuale.

La sentenza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che l’illecito amministrativo a carico del soggetto collettivo si configura quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dell’ente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell’ente stesso.

Per la sentenza, ciò esclude che possa essere attribuito all’ente un reato commesso da un soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi dell’ente stesso.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili del reato presupposto rilevano soltanto se risulta riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, laddove sia stato adottato un modello organizzativo previsto dal D. Lg. 232/2001, non può essere contestata la  “genericità ed inadeguatezza” del modello organizzativo” senza fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente. Infatti la tipicità dell’illecito amministrativo imputabile all’ente costituisce, per così dire, un modo di essere “colposo”, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all’ente di commettere il reato. In tale prospettiva, l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn). Ne consegue che, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti  dal D. Lg. 231/2001. La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui). Ciò rafforza l’esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell’ente) responsabile del reato.

Non ritenendo fornita dall’accusa la prova di tale negligenza nel caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso della società, cassando con rinvio l’impugnata pronuncia.

   4) Procedimenti relativi alla violazione del modello “231” nel Triveneto.

Secondo i dati raccolti  dall’Università di Padova la pandemia ha causato un calo del numero di procedimenti 231, conformemente alla generale contrazione delle attività degli uffici giudiziari.

Il contenimento dell’emergenza epidemiologica nel 2021 ha stimolato una generale ripresa dei “numeri 231”, seppure con alcuni distinguo. Precisamente, in Trentino Alto-Adige e in Friuli Venezia-Giulia, ove l’andamento è sempre stato sinusoidale, i valori dello scorso

anno sono rientrati nel range ordinario, sebbene al ribasso. Viceversa, in Veneto i numeri sono di poco superiori a quelli del 2020 ma, comunque, ancora inferiori a quelli registrati negli anni precedenti.

Il trend dei procedimenti aperti ogni anno è più compatto in Trentino Alto-Adige, mentre è più incostante in Veneto  e, soprattutto, in Friuli Venezia-Giulia .

Una rappresentativa disomogeneità caratterizza inoltre le categorie cui appartengono i reati presupposto iscritti. A conferma di un dato consolidato, nel triennio 2019-2021 il 70% circa degli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono riconducibili ai reati contro la Pubblica amministrazione (articoli 24 e 25), ai reati ambientali (articolo 25 undecies) e, soprattutto, ai reati di omicidio e di lesioni colpose derivanti dalla violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 25 septies).

Anche i reati tributari recentemente introdotti acquistano centralità, con una tendenza crescente e un numero di procedimenti aperti che ha già raggiunto e superato quello delle categorie meno applicate.

Per quanto concerne l’orientamento giurisprudenziale sugli effetti dell’adozione del modello, con la sentenza a conclusione del processo “Impregilo” (23401/2022), la Cassazione ha adottato un approccio pragmatico e auspicabilmente fecondo. È stato sancito un onere di motivazione rafforzato qualora il giudice decida di esprimersi sull’inidoneità di un modello redatto secondo le linee guida, imponendo di valutare se la commissione del reato sia stata determinata dal difetto di organizzazione contestato.

Malgrado la sentenza, resta un’incertezza che pregiudica potenzialmente il sistema imprenditoriale. Un rischio meritevole di attenzione, visti i benefici che possono venire da un ricorso virtuoso agli strumenti 231 pure nel contesto giudiziario. Esemplificativo è il caso Uber Italy, società incolpata del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il Tribunale aveva disposto la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria, secondo il Codice antimafia, per ricondurre l’attività di business nella legalità. Poi ha revocato anzitempo la misura di prevenzione proprio per l’attuazione di un piano di compliance 231 che ha profondamente innovato e migliorato gli assetti organizzativi, con ripercussioni sulle condizioni di lavoro del personale.

Il decreto di archiviazione datato 9 novembre 2022, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,  richiama una problematica ben conosciuta a chi si occupa della normativa 231, sottesa alla insufficiente diffusione ed applicazione della stessa. L’assenza di incentivi adeguati, di benefici processuali premiali, anche e soprattutto nel momento in cui dovesse verificarsi un illecito, nei confronti di quei soggetti giuridici che hanno preventivamente già investito tempo e risorse per l’implementazione di un modello.

La Procura di Milano, in relazione ad un procedimento in cui era stata contestata la fittizietà di alcuni appalti, ha posto l’accento  sul comportamento complessivo tenuto dalla società indagata successivamente al fatto. Questa infatti, che già prima dei fatti aveva implementato un modello organizzativo ai sensi del Decreto 231 che tenesse conto anche della macroarea di rischio relativa al rapporto con i fornitori di beni/servizi, aveva proseguito virtuosamente nello sforzo di dotarsi di un’organizzazione adeguata rispetto alla finalità preventiva perseguita dal decreto in parola. Tra le varie attività portate avanti, a far data dal fatto contestato, sono stati considerati degni di particolare attenzione i protocolli relativi al monitoraggio sugli adempimenti Iva da parte dei fornitori e il progetto di insourcing dei lavoratori che tramite i fornitori svolgono servizi di gestione dei magazzini e altre attività connesse (tale progetto, che aveva già portato all’assunzione di 695 lavoratori, prevedeva l’assunzione diretta di ulteriori 761 lavoratori ). In particolare, con riferimento al progetto relativo all’assunzione dei lavoratori operanti presso i fornitori, (X) è riuscita ad implementare un modello virtuoso di gestione diretta del magazzino – in un lasso di tempo relativamente breve, considerata la complessità e l’onerosità dei lavori – che oltre a garantire una gestione rafforzata del rischio-compliance, costituiva un forte segnale, anche verso l’esterno, della volontà di proseguire nell’attività nella piena legalità. Ciò determina, evidentemente, una netta cesura con il precedente assetto organizzativo. Ora, se è vero che tanto le sanzioni tributarie, quanto quelle previste dal Decreto 231, perseguono una finalità dissuasiva e preventiva che va al di là della mera funzione ripristinatoria e retributiva, non si può negare che un più che soddisfacente risultato in questi termini sia stato  raggiunto. Pertanto il pagamento delle sanzioni tributarie  e le condotte riparatorie poste in essere (al di là del doveroso pagamento del debito tributario) consistite in: 1. stabilizzazione di circa 1200 dipendenti; 2. modelli organizzativi idonei a scongiurare che si ripetano fenomeni come quelli qui censurati; 3. interventi organizzativi attuati su larga scala che hanno comportato un esborso di (ulteriori) circa 10 milioni di euro sono stati tali da rendere l’ulteriore irrogazione della sanzione ex 231/2001 un fatto che sembra porsi in contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia di ne bis in idem. Per questi motivi è stata disposta l’archiviazione del procedimento es d. lgs. 231/2001.

Si rileva, infine, che oltre ai vantaggi sul piano giudiziario, come l’esimente dalla responsabilità (articolo 6 del decreto 231), è risaputo che l’onere di auto-organizzazione nelle realtà d’impresa è un fattore cruciale per ottimizzare i processi aziendali.

 

Newsletter 1/2023

1)Il sistema di gestione della sicurezza non evita la responsabilità in assenza del modello “231”.

Per la Corte di  Cassazione non coincide con i modelli organizzativi del decreto 231

La conformità del sistema di gestione della sicurezza prevista dall’articolo 30, comma 3, del Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (Dlgs 81/2008) non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente per gli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001.

Lo ribadisce la quarta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 45131 del 28 novembre) che ha ritenuto irrilevante la presenza, al momento dell’infortunio sul lavoro, di un sistema di gestione della sicurezza caratterizzato dall’individuazione dei soggetti preposti a tale scopo.

Ciò perché, al di là del fatto che l’istituzione di determinate figure professionali (quali il RSPP) è prevista obbligatoriamente (cfr. artt. 31 e ss.gg. D.Ivo 81/08), gli istituti cui esse sono preposte (ossia il Servizio di Prevenzione e Protezione e la Sorveglianza sanitaria), assolvono alla funzione di prevenzione degli infortuni, mentre il modello organizzativo risponde alla necessità di mappare le aree di rischio e di predisporre un sistema di controlli diretti ad «assicurare l’adempimento» di una serie di obblighi giuridici in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a ridimensionare il rischio di commissione di reati in violazione della normativa antinfortunistica. Né, peraltro, la mappatura   dei rischi (presupposto del modello organizzativo di cui all’articolo 30 del Dlgs 81/2008 che a sua volta richiama l’articolo 6 del Dlgs 231/2001) potrebbe farsi coincidere con la valutazione dei rischi contenuta nel documento di valutazione dei rischi (Dvr), essendo diversa la platea dei destinatari: il Dvr è diretto ai lavoratori per informarli sui rischi. Il modello organizzativo si rivolge anche a coloro che, all’interno della compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi, sollecitandoli al rispetto degli obblighi giuridici in materia antinfortunistica, anche attraverso la previsione di un sistema di vigilanza sull’attuazione delle prescrizioni in esso contenute e che culmina nella previsione di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza.

Ed infatti, l’art. 2, co. 1 lett. dd) del d.Ivo 81/08 definisce, in senso ampio, «modello di organizzazione e di gestione” il modello per la «definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590, terzo comma c.p., commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro”; in tal guisa, il modello organizzativo di cui all’art. 30 presenta un contenuto ed una pla­tea di destinatari più ampia rispetto al DVR, essendo finalizzato a prevenire ogni possibile condotta – ascrivibile anche agli organi dotati di poteri decisionali – determinativa o agevolativa di situazioni di rischio.

2)L’inchiesta Prisma sui bilanci della Juventus Football Club spa

L’inchiesta Prisma sui bilanci della Juventus Football Club spa è interessante da valutare anche sotto il profilo della responsabilità 231: istruita circa un anno fa dalla Procura di Torino, è divenuta oramai di dominio pubblico e indaga sulla società calcistica quotata in borsa dal 2001. In questi giorni i principali quotidiani hanno più volte riportato notizie riferite alle indagini in corso: la Procura di Torino giovedì 1° dicembre ha formulato le richieste di rinvio a giudizio per 12 dirigenti o ex dirigenti bianconeri tra cui l’oramai ex Presidente Andrea Agnelli ed il suo vice Pavel Nedved, l’ex amministratore delegato Maurizio Arrivabene e l’ex responsabile dell’area sportiva Fabio Paratici.

Quattro sono le ipotesi di reato:

  • false comunicazioni sociali;
  • manipolazione del mercato;
  • ostacolo agli organi di vigilanza;
  • false fatture per operazioni inesistenti.

L‘accusa sostiene che la Juventus Football Club spa abbia effettuato delle “manovre correttive” con l’obbiettivo di rendere meno onerose le pur esistenti perdite di bilancio e consentire di conseguenza la permanenza sul mercato senza dover ricorrere alla cessione dei giocatori più importanti: elemento fondante del quadro accusatorio è la quotazione in borsa della Società (da notare che la Juventus è ad oggi l’unica società di serie A quotata).

Anche la Società Juventus Football Club S.p.a. è indagata in qualità di persona giuridica, in ottemperanza al Decreto legislativo 231 2001 che prevede il principio della responsabilità amministrativa, ovvero quello che comunemente definiamo responsabilità 231, per specifiche tipologie di reato commesse da persone riconducibili alla società (amministratori e dipendenti, ma anche consulenti e procuratori esterni): tra le sanzioni previste, oltre a quella pecuniaria, il riconoscimento della responsabilità amministrativa può comportare anche l’inibizione dell’operatività; le ipotesi di reato formulate sono relative ai reati tributari e agli abusi di mercato, entrambe ricomprese all’interno dell’art. 25 del citato Decreto.

Proprio in riferimento a queste ipotesi, nei giorni scorsi e precisamente il 28 novembre, vi sono state le dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione della Juventus Football Club spa; a detta di molti la scelta di rassegnare le dimissioni pare sia legata alle potenziali ricadute che avrebbe potuto avere il Decreto legislativo 231 2001 sulla Società in termini di sanzioni.

In relazione proprio alle dimissioni dell’organo dirigente al fine di evitare il coinvolgimento dell’ente ai sensi del Decreto va però segnalato che la Corte di Cassazione ha più volte puntualizzato (sezione penale, sentenza n° 46439 del 2013 e sentenza n. 32626 del 2006) come le dimissioni degli Amministratori non siano da sole condizione sufficiente per evitare eventuali conseguenze sulla Persona Giuridica; nell’ipotesi di responsabilità derivante da condotte perpetrate dai dirigenti dell’ente, la sostituzione o l’estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del “periculum”, purché ciò rappresenti il sintomo del fatto che l’ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati.

In sostanza, la semplice circostanza che gli amministratori indagati abbiano dichiarato di dimettersi dalle loro funzioni non costituisce, di per sé, sinonimo del superamento delle circostanze che hanno dato origine alle condotte illecite, anche se costituiscono sicuramente delle misure organizzative preventive che mirano a:

  • escludere la sussistenza del “periculum”;
  • escludere li rischio di reiterazione nel reato;
  • dimostrare la discontinuità nell’organizzazione;
  • agevolare la difesa societaria per l’incompatibilità alla partecipazione al procedimento del proprio rappresentante legale qualora «questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (art. 39 Decreto legislativo 231 2001).

Nel ribadire che tali misure siano necessarie ma non sufficienti ad escludere l’eventuale responsabilità della Società ed evitare il rischio di sanzioni cautelari o definitive, l’ente dovrà dimostrare nei fatti, oltre all’adozione dei correttivi sopra elencati, di non avere avuto carenze organizzative pur in presenza del fatto contestato, o di aver provveduto ad eliminare le eventuali proprie carenze organizzative in un momento successivo alla contestazione dell’illecito amministrativo nei propri confronti, dando così luogo ad una condotta riparatoria per evitare l’irrogazione delle sanzioni ex D.lgs. 231/01.

La Juventus Football club spa dovrà quindi provare (con attenzione all’onere probatorio ex art. 6 d.lgs. 231/2001) di aver adottato un Modello Organizzativo idoneo a prevenire reati della stessa natura di quello contestato, o di avere migliorato il proprio Modello “post factum” eliminando così le eventuali carenze organizzative che avevano favorito la commissione del reato (Tribunale di Roma, sentenza del 20 marzo 2018).

Segue: Responsabilità 231: la strategia della difesa

L’onere probatorio comporta l’obbligo a carico della Società di avviare una ricognizione del sistema di controllo interno adottato per dimostrare l’idoneità ed efficacia del sistema parametrato rispetto alle migliori conoscenze disponibili all’epoca della predisposizione del modello stesso.

Sarà dunque necessario:

  • ricostruire le modalità operative di commissione dei reati secondo l’impianto accusatorio (c.d. rischio di commissione reato che non ha più carattere di astrattezza);
  • individuare le attività esposte ai reati contestati;
  • verificare la completezza dell’analisi del rischio;
  • evidenziare le procedure interne di gestione;
  • evidenziare i controlli di primo, secondo e terzo livello;
  • ricostruire le attività di verifica effettuate dagli organismi di controllo;
  • analizzare flussi informativi e/o segnalazioni;
  • adottare misure di prevenzione e controllo aggiuntive, se opportune.

La descritta attività di ricognizione avrà quindi le caratteristiche di una vera e propria indagine interna, che permetterà di provare alternativamente:

  • che la Società aveva già adottato un Modello idoneo attuandolo efficacemente, dimostrando la “volontarietà” e “intenzionalità” dell’aggiramento delle procedure aziendali;
  • che la Società stia migliorando il proprio Modello, in ragione di carenze organizzative emerse in seguito all’analisi effettuata.

3) Decreto-legge recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale, approvato dal CDM del 28 dicembre 2022.

Vengono apportate 3 importanti modifiche al d.lg. 231/2001:

1.All’art. 15 (Commissario giudiziale), comma 1, viene aggiunta la lett. b-bis):

“l’attività è svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione della sanzione sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria”.

Tale nuova ipotesi, in cui è possibile la sostituzione della sanzione interdittiva con il commissariamento, si va ad aggiungere alle preesistenti:

  1. a)  l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
  2. b) l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto   delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

2.All’art. 17 (Riparazione delle conseguenze del reato), viene aggiunto il comma 1-bis):

“In ogni caso, le sanzioni interdittive non possono essere applicate quando pregiudicano la continuità dell’attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, se l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi quando nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi”.

Come è noto, il comma 1 dell’art 17 esclude l’applicazione delle sanzioni interdittive quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:

  1. a)  l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
  2. b)  l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  3. c)  l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

3.All’art. 53 (Sequestro preventivo), viene aggiunto un nuovo comma 1-bis.1: 

“Quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali che siano stati dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, o loro parti ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applica l’articolo 104-bis, commi 1-bis.1 e 1-bis.2 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271″.

Il richiamato art 104-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. viene a sua volta integrato con i seguenti nuovi commi:

“1-bis.1.

Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, l’autorità amministrativa competente ha adottato provvedimenti con i quali ha ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso il provvedimento, anche se negativo, è immediatamente trasmesso, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

1-bis.2

Nei casi disciplinati dal comma 1-bis.1., il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy o del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Sull’appello avverso il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma”.

4)Rendicontazione societaria di sostenibilità: obblighi estesi a tutte le imprese di grandi dimensioni e PMI

È stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la nuova Direttiva (UE) 2022/2464 del 14 dicembre 2022 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). Le imprese di grandi dimensioni e le piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese, che sono enti di interesse pubblico, devono includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione. La direttiva entra in vigore il 5 gennaio 2023 e, salvo alcune eccezioni espressamente previste nel testo, deve essere applicata agli esercizi aventi inizio il 1 gennaio 2024 o successivi.

Nella CSRD sono presenti le  seguenti novità di seguito:

– gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità sono estesi a tutte le imprese di grandi dimensioni, nonché a tutte le imprese con valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati, comprese quindi le PMI, e ad eccezione delle sole microimprese;

– nel rispetto del principio di proporzionalità, è previsto che i principi di rendicontazione di sostenibilità siano proporzionati e non comportino per le imprese interessate oneri amministrativi inutili;

– i principi di rendicontazione di sostenibilità devono tener conto delle esigenze degli utenti, non gravando di oneri sproporzionati in termini di sforzo e costi le imprese tenute alle comunicazioni sulla sostenibilità e le altre imprese indirettamente interessate nell’ambito della catena del valore delle prime.

La CSRD evidenzia l’importanza che i principi di rendicontazione di sostenibilità considerino adeguatamente gli aspetti energetici, in particolare in relazione alle questioni ambientali, comprese quelle relative al clima. E proprio in riferimento alle informazioni sul clima, sarà opportuno tenere in considerazione sia i rischi fisici che di transizione delle imprese e la loro resilienza, nonché i loro piani di adattamento ai diversi scenari climatici e i loro piani di adattamento all’obiettivo di neutralità climatica dell’Unione entro il 2050.

I principi di rendicontazione di sostenibilità dovrebbero specificare le informazioni che le imprese devono comunicare riguardo a fattori sociali, compresi le condizioni di lavoro, il coinvolgimento delle parti sociali, la contrattazione collettiva, l’uguaglianza, la non discriminazione, la diversità, l’inclusione e i diritti umani.

Rendicontazione di sostenibilità

Le imprese di grandi dimensioni e le piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese, che sono enti di interesse pubblico, devono includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione.

Le informazioni devono essere chiaramente identificabili nella relazione sulla gestione, tramite un’apposita sezione di tale relazione. Esse devono includere:

  1. a) una breve descrizione del modello e della strategia aziendali dell’impresa, che indichi:
  2. i) la resilienza del modello e della strategia aziendali dell’impresa in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
  3. ii) le opportunità per l’impresa connesse alle questioni di sostenibilità;

iii) i piani dell’impresa, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’accordo di Parigi nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottato il 12 dicembre 2015(“accordo di Parigi”) e l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 come stabilito dal regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio (*), e, se del caso, l’esposizione dell’impresa ad attività legate al carbone, al petrolio e al gas;

  1. iv) il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell’impresa tengono conto degli interessi dei suoi portatori di interessi e del suo impatto sulle questioni di sostenibilità;
  2. v) le modalità di attuazione della strategia dell’impresa per quanto riguarda le questioni di sostenibilità;
  3. b) una descrizione degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall’impresa, inclusi, ove opportuno, obiettivi assoluti diriduzione delle emissioni di gas a effetto serraalmeno per il 2030 e il 2050, una descrizione dei progressi da essa realizzati nel conseguimento degli stessi e una dichiarazione che attesti se gli obiettivi dell’impresa relativi ai fattori ambientali sono basati su prove scientifiche conclusive;
  4. c) una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo per quanto riguarda le questioni di sostenibilità e delle loro competenze e capacità in relazione allo svolgimento di tale ruolo o dell’accesso di tali organi alle suddette competenze e capacità;
  5. d) una descrizione delle politiche dell’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità;
  6. e) informazioni sull’esistenza di sistemi di incentivi connessi alle questioni di sostenibilità e che sono destinati ai membri degli organi di amministrazione, direzione e controllo;
  7. f) una descrizione:
  8. i) delle procedure di dovutadiligenzaapplicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità e, ove opportuno, in linea con gli obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;
  9. ii) deiprincipali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l’impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;

iii) di eventuali azioni intraprese dall’impresa per prevenire o attenuare impatti negativi, effettivi o potenziali, o per porvi rimedio o fine, e dei risultati di tali azioni;

  1. g) una descrizione dei principali rischi per l’impresa connessi alle questioni di sostenibilità, compresa una descrizione delle principali dipendenze dell’impresa da tali questioni, e le modalità di gestione di tali rischi adottate dall’impresa;
  2. h) indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni di cui alle lettere da a) a g).

Entrata in vigore e applicazione

La direttiva entra in vigore il 5 gennaio 2023 e, salvo alcune eccezioni espressamente previste nel testo, deve essere applicata agli esercizi aventi inizio il 1 gennaio 2024 o successivi.