DECRETO GIUSTIZIA: INTRODOTTI NUOVI REATI “231”

Novità riguardo alla responsabilità degli enti.

La L. 137/2023, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 Ottobre 2023 n. 236, di conversione in legge del decreto legge 105/2023 ha introdotto altri tre illeciti amministrativi per le persone giuridiche,

Il testo normativo interviene sugli artt. 24 e 25-octies.1 D.Lgs. 231/2001, estendendo il catalogo dei reati presupposto della responsabilità delle società ai delitti di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (353-bis c.p.) e trasferimento fraudolento di valori (l’art. 512-bis c.p.).

Quali reati

L’art. 24 del D. Lgs. 231/2001 nel testo precedente all’intervento normativo in esame prevede quali reati presupposto la malversazione di erogazioni pubbliche (art. 316-bis c.p.), indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), truffa ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640, secondo comma, numero 1), truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640-bis e 640-ter c.p.). La sanzione applicata all’ente è fino a 500 quote (da 200 a 600 quote se l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità).

L’art. 353 c.p. (Turbata libertà degli incanti) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba una gara pubblica o ne allontana gli offerenti.

È prevista una circostanza aggravante (reclusione da 1 a 5 anni e multa da 516 a 2.065 euro) se il colpevole è persona preposta alla gara.

Art. 353-bis c.p e 25.octies.1 del D. Lgs. 231/200

L’art. 353-bis c.p. (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti turba il procedimento amministrativo al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione. L’art. 25.octies.1 del D. Lgs. 231/2001 nel testo vigente prevede, al comma 1, quali reati presupposto l’indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-ter c.p.), con sanzione amministrativa da 300 a 800 quote, la detenzione e diffusione di dispositivi diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-quater c.p.) e la frode informatica (art. 640-ter c.p.) aggravata dal trasferimento di denaro, con sanzione amministrativa fino a 500 quote.

Il comma 2 prevede quale reato presupposto ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio previsto dal codice penale, quando ha ad oggetto strumenti di pagamento diversi dai contanti, salvo che il fatto costituisca più grave illecito amministrativo, con sanzioni amministrative graduate a seconda della pena edittale prevista dal codice penale.

Il comma 3 prevede che, nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 e 2 si applichino all’ente le sanzioni interditti dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni; del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi (di cui all’art. 9 comma 2, del citato d.lgs. n. 231/2001).

Aggiornamento modello organizzativo

L’introduzione dei suddetti reati nel catalogo 231 fa scaturire l’esigenza di un aggiornamento del modello organizzativo, soprattutto in quei casi in cui l’Ente partecipi a gare pubbliche. Pertanto, alla luce delle novità introdotte, sarà fondamentale, per gli enti dotati di modelli 231, rivedere la mappatura dei rischi, al fine di verificare l’esposizione ai nuovi reati e individuare adeguati protocolli tesi a prevenire il rischio di commissione dei reati contemplati.

Cassazione: responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 in caso di risparmio limitato

Sentenza della Cassazione

Con la sentenza n. 39129 del 26.9.2023 la Cassazione penale afferma che risulta colpevole, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, la società che, al fine di ottenere un risparmio di spesa (seppur modesto), omette di riparare le porte di ingresso al luogo di lavoro, in violazione delle norme antinfortunistiche.

Il fatto affrontato

A seguito del grave sinistro occorso ad un dipendente, colpito da un cancello fuoriuscito dalle guide a causa della mancata installazione di un adeguato sistema di sicurezza, la società datrice viene ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001.

Nell’impugnare la pronuncia della Corte d’Appello, l’azienda deduce l’insussistenza del requisito dell’interesse o del vantaggio economico dell’ente alla commissione dell’illecito, dal momento che la spese necessaria per la riparazione del cancello ammontava a poche decine di euro.

La sentenza

La Cassazione – confermando la pronuncia di merito – rileva preliminarmente che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra loro.

In particolare, per la sentenza, l’interesse si integra quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, mentre il vantaggio si integra qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone un risparmio di spesa o una massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere detti risultati.

responsabilità amministrativa dell’ente

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.

Ritenendo sussistente quest’ultima fattispecie nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso e conferma la responsabilità sociale ex D.Lgs. 231/2001.

T.U. Salute e Sicurezza

Con la sentenza n. 38914 del settembre 2023 la Corte di Cassazione ha rilevato il ruolo di primaria importanza del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nella gestione del rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori (D.lgs. 81/2008).

Il fatto

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza veniva condannato a titolo di cooperazione colposa. Questo ex art. 113 c.p. per aver concorso a cagionare, insieme con il rappresentante della ditta in questione, l’infortunio mortale di un lavoratore. Il quale, assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico, svolgeva di fatto anche funzioni di magazziniere, senza aver ricevuto la corrispondente formazione.

Nel caso di specie, l’RLS è stato condannato a titolo di colpa specifica correlata a specifiche violazioni in materia di sicurezza sul lavoro. Perché tramite una serie di contegni omissivi (i) trascurava di segnalare al datore di lavoro i rischi connessi all’adibizione del lavoratore a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali. Senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione, (ii) violava l’obbligo di sollecitare l’adozione di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro.

Quindi è da chiarire il ruolo delle RLS nella gestione del rischio.

La motivazione

La Corte di Cassazione ha ricordato come l’art. 50 del T.U. Salute e Sicurezza, attribuisca al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro”. Esso, infatti, costituisce una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro“.

In particolare, come chiarisce la sentenza, nel caso di specie non si tratta di verificare, in capo al RLS, la sussistenza di una posizione di garanzia – tecnicamente intesa come titolarità di un obbligo di protezione e controllo finalizzato ad impedire l’infortunio del lavoratore –. Ma, piuttosto, di accertare se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p.”

In questa prospettiva, ritengono i giudici di legittimità, la condotta omissiva del RLS in violazione dei compiti attribuitigli per legge, assume certamente la valenza di concausa dell’evento mortale, verificatosi a danno del lavoratore. Egli, infatti, ha trascurato di predisporre un’adeguata formazione del lavoratore – adibito a svolgere mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali.  Ha anche omesso di sollecitare un’adeguata prevenzione del rischio, ha senz’altro contribuito alla causazione dell’incidente. Sì che, ipotizzando come non avvenuta la sua condotta, l’evento morte non si sarebbe verificato.

A ciò si aggiunga che la Corte di Cassazione ribadisce i principi granitici della giurisprudenza di legittimità in materia di incidenti sul lavoro. Dunque ha escluso che la condotta imprudente del lavoratore deceduto fosse anomala ed eccentrica, tale da escludere il nesso causale tra la condotta colposa del rappresentante e del RLS e l’evento. Le norme antinfortunistiche che permeano le realtà aziendali, infatti, sono dirette ad evitare che il lavoratore, con la sua stessa condotta imprudente, ponga in pericolo la propria sicurezza e integrità.